In occasione della Giornata mondiale dell’Alzheimer uno dei temi da tenere in conto è la cura non solo dei pazienti, ma anche i loro cari, primi “caregiver” dei malati di Alzheimer. È uno degli impegni che si prefiggono la Residenza Protetta e la Casa di Riposo “Fondazione CECI” di Camerano (An), insieme a Nuova Sair. La psicologa è al servizio dei parenti in un percorso di accompagnamento che, attraverso una serie di colloqui, sostiene i familiari del paziente sin dal primo incontro prima della presa in carico.
“In generale,” dichiara Laura Pasquini, psicologa di Nuova Sair presso la Residenza Ceci, “Abbiamo rilevato un bisogno di ricevere le informazioni più basilari, di conoscere la patologia in termini di sintomi e di evoluzione. Troppo spesso una volta data ‘l’etichetta’ – cioè la diagnosi – le persone vicine al malato restano all’oscuro di cosa essa comporti, e cosa sia necessario fare per gestire i disturbi del piano cognitivo e comportamentale”.
“Spesso – continua Pasquini– i familiari si trovano a dover prendere decisioni complesse, come quella di affidare i loro cari a una struttura, di pianificare e anticipare le sfide del futuro, senza avere le informazioni necessarie. Questo comporta un grande carico di stress: per questo è fondamentale stabilire un rapporto di fiducia con i professionisti presenti nella casa di riposo”.
“Molti nutrono il desiderio di sviluppare strategie e capacità comunicative per poter rispondere al deficit cognitivo e comportamentale del paziente,” aggiunge la psicologa. “Alcuni esempi concreti: come si gestiscono i vagabondaggi? Come si risponde quando il parente ripete le stesse cose o entra in stato confusionale?”
“Un altro aspetto importante – sottolinea L. Pasquini – è accompagnare i caregiver attraverso il cambio di ruolo che avviene con l’evoluzione della patologia: si perde il ruolo di figlio e si assume quello di ‘genitore’ del proprio genitore. Ciò avviene molto spesso con l’Alzheimer, e nei colloqui è importante aiutare i familiari a gestire lo stress: recuperare la qualità di vita del caregiver è uno degli obbiettivi dei colloqui. È necessario che essi si prendano cura di loro stessi e comprendano che non si tratta di uno stato di ‘emergenza’, ma di uno stato di cronicità che può essere degenerativa. È indispensabile che si stabilisca un nuovo equilibrio in rapporto a questa realtà”.
Un altro aspetto su cui è importante informare i cari è l’esistenza di terapie non farmacologiche, poco conosciute dai familiari. “La doll therapy, per esempio, è accolta con stupore e curiosità. Con l’utilizzo delle bambole noi abbiamo avviato dei percorsi soddisfacenti che aiutano i pazienti e ne migliorano l’umore e c’è in genere una buona risposta. In alcuni casi, addirittura, i familiari hanno voluto essere partecipi in prima linea con la terapia, mettendo a disposizione di loro iniziative delle bambole”.